Angelo Peretti è un giornalista pubblicista, collabora dal 1979 con numerose testate. È direttore responsabile di InternetGourmet.it. Ha pubblicato vari libri dedicati all’ambito gastronomico e vinicolo e ha collaborato con alcune delle più note guide italiane dei settori del vino, della ristorazione, dell’olio extravergine di oliva. Ha inoltre elaborato progetti di posizionamento strategico per alcuni consorzi di tutela.
“Il tuo lavoro occuperà gran parte della tua vita, e l’unico modo per essere davvero soddisfatto è fare un lavoro che consideri fantastico. E l’unico modo per fare un lavoro fantastico è amare quello che fai.” (Steve Jobs)
Come è approdato in questo fantastico mondo del vino? Qual è stata o qual è la sfida più difficile del suo lavoro e perché dovremmo scegliere di leggere il suo Internet-Gourmet.
Nel 1986, Giorgio Gioco, il cuoco e proprietario del ristorante 12 Apostoli di Verona, tra i primi in Italia a ricevere la stella Michelin, mi chiamò a far parte del gruppo di lavoro di un libretto sui pesci e sulla cucina di pesce del lago di Garda. Avevo ventisette anni e scrivevo di cronaca e di tradizioni locali per il quotidiano veronese L’Arena. Ci rendemmo conto che il libro aveva bisogno di un capitoletto sui vini gardesani. Gioco affidò l’incarico a me. Fu il mio primo testo sul vino, non ho più smesso di scriverne. Negli anni Novanta fondai la condotta gardesana di Slow Food e nel 2001 incominciai a collaborare con la guida dei Vini d’Italia, che era edita insieme con il Gambero Rosso. Eravamo nel pieno dell’ondata di parkerizzazione del vino italiano: andavano affermandosi i vinoni concentrati, alcolici e tannici. Per un po’ ne fui affascinato anch’io ma me ne disamorai molto presto. Nel 2003, dopo aver detto in un convegno che non avrei mai aperto un blog, ne fondai uno. Si chiamava I Ghiottoni, che era il nome di una micro casa editrice messa in piedi con due amici cuochi, Isidoro Consolini e Flavio Tagliaferro. Pubblicavamo libri sulla storia della cucina gardesana, ma sul blog scrissi sempre più di vino. Poi Flavio si trasferì in America e chiudemmo I Ghiottoni. Io volli dare vita a una testata giornalistica indipendente che ne replicasse il logo: la I divenne Internet e la G diventò Gourmet. InternetGourmet nacque così, nel 2006. Tre anni dopo, nel 2009, pubblicai il mio “Elogio del vinino – ovvero – Manifesto per la piacevolezza dei vini da bere”. Eravamo ancora nell’epoca dei vini “grossi”, invece io teorizzavo un vino territoriale fatto per essere bevuto, magari semplice, però mai banale, e comunque sempre fortemente identitario. Se ne discusse molto. Restai minoritario, ma continuai per la mia strada, che ora è condivisa da molti. Lo spirito d’indipendenza di allora e l’idea di supremazia della piacevolezza continuano a contraddistinguere InternetGourmet. Credo che il contenuto maggiore della mia sfida personale sia la coerenza: scegliere una via e percorrerla con determinazione, sapendo che ha un costo e che posso apparire antipatico. Chi mi legge, e grazie al cielo sono moltissimi, anche all’estero, credo che mi apprezzi per questo.
“I giorni indimenticabili della vita di un uomo sono cinque o sei in tutto. Gli altri fanno volume.” (Flaiano)
Quali sono i suoi giorni indimenticabili?
Nel mio percorso di conoscenza del vino, ci sono due momenti che restano indelebili, perché hanno rappresentato altrettante svolte fondamentali. Sono legati a due vini. Più di venti anni fa, invitai a guidare una degustazione di vini bianchi Gianni Fabrizio, che collaborava con Vini d’Italia. Portò lui i vini. Uno mi lasciò del tutto indifferente. Lo dissi, e Gianni mi invitò a rifletterci. Il giorno dopo, rassettando la stanza, mi accorsi che ne era rimasto un dito in una bottiglia. Me ne versai e mi si aprì un mondo. Il vino era diventato elegantissimo e complesso: aveva solo bisogno di aspettarlo. Quel vino era una Coulée de Serrant di fine anni Ottanta. Poco dopo ebbi occasione di bere il Saint-Émilion ‘62 di Château Fonplégade. Lo trovai giovane ed elegantissimo. Fu il vino che mi fece comprendere che la finezza non si cura del tempo che passa, e certamente non si basa sulla muscolarità. Entrambi i vini mi insegnarono, inoltre, il ruolo vitale del terroir. L’attesa paziente, la primazia della finezza e l’espressione dell’identità territoriale sono divenute le mie chiavi di lettura del vino.
“Il giornalista deve avere sempre e comunque una religione del dubbio.” (Ferruccio De Bortoli)
Alcuni affermano che il giornalismo del vino non esiste in quanto sorretto economicamente dai produttori stessi. Altri sostengono che siano i contenuti a fare la differenza. Alla luce di un comparto così rilevante per l'economia nazionale lei che ne pensa?
Il giornalismo non ha bisogno di alcun complemento di specificazione. Esiste il giornalismo “e basta”, non esiste il giornalismo “di qualcosa”. Semmai vi sono colleghi che si occupano di giornalismo investigativo, altri che scrivono di cronaca, altri ancora che trattano temi di costume, e vi è anche chi fa l’editorialista. Io credo di essere soprattutto un editorialista, perché tento di offrire una lettura dei fatti del vino in chiave umanistica ed economica, e dunque coerente con il mio percorso culturale e professionale. Il presupposto comune al giornalismo è che ci si rivolga al lettore con una promessa di integrità, un patto che va onorato. Mi si potrebbe domandare dove si collochino coloro che recensiscono i vini, ossia la gran parte di chi ne scrive. Si collocano, appunto, tra i recensori, che svolgono un ruolo di compilazione utile a informare il consumatore. Ma si tratta di un ruolo diverso rispetto a quello del critico, il quale analizza l’opera dell’ingegno secondo un bagaglio complesso di conoscenze specialistiche e anche, talora, secondo la corrispondenza o meno alla linea editoriale che connota la testata, la quale può essere improntata alla totale libertà interpretativa o ad una visione in qualche modo ideologica. Infatti, esiste anche l’ideologia del vino. Ad esempio, la parkerizzazione del vino fu un processo ideologico, e lo stesso si può affermare dell’ascesa del vino naturale. Io non ho nulla contro le interpretazioni ideologiche: mi basta che siano enunciate come tali, il che mi consente di interpretarle in quella chiave specifica, che posso condividere o meno.
“Dopo aver letto un elenco dei possibili danni che l'alcool può recare alla salute, ho smesso di leggere.” (Henny Youngman)
L’OMS ha esortato a ridurre i consumi di vino 10% entro il 2025 paragonandolo alla tossicità delle sigarette. Cosa pensa di questa comparazione e degli effetti sui mercati?
Mi occupo di vino perché il vino è uno dei più straordinari testimoni della cultura materiale di un popolo. Sotto questo punto di vista, sarò sempre uno strenuo difensore del vino. Però il vino contiene l’alcol, e l’alcol è responsabile diretto o indiretto di alcune serissime problematicità di natura sanitaria e sociale. Dunque, non dirò mai che il vino fa bene. La stretta che si sta profilando sui consumi di alcol avrà impatto anche sui consumi di vino, che caleranno, così come caleranno i finanziamenti pubblici alla sua promozione. Da tempo scrivo che si produce troppo vino e che vanno assunte politiche di riduzione della produzione viticola. Inoltre, ho già proposto al mondo associativo del vino di muoversi in una prospettiva di carattere compensativo: va quantificato il danno sociale potenzialmente indotto dal vino e vanno parallelamente assunte dal settore delle misure concrete che consentano di documentare la generazione di un beneficio sociale di valore pari o superiore a quello dei danni arrecati. Io sono convinto che sia possibile, ma si tratta di assumere un processo culturale piuttosto impegnativo.
“Una nazione che non può controllare le sue fonti di energia non può controllare il suo futuro.” (Obama)
Crisi energetica, guerre, aumento del costo delle materie prime e inoltre mancanza di vetro per le bottiglie. Qual è l’impatto sul settore vitivinicolo e cosa inquieta di più?
Non mi inquietano mai le contingenze esterne. Mi inqueta la carenza di visione strategica. Io credo che oggi il mondo del vino necessiti una nuova visione strategica, ma non vedo affiorarne le avvisaglie. La mia impressione è che ci si barrichi a difesa dello statu quo, quando lo statu quo non può esistere.
“Una bottiglia di vino implica la condivisione, non ho mai incontrato un amante del vino che fosse egoista.” (Clifton Fadiman)
Dal vino come alimento al vino come convivialità e condivisione. E’ cambiato il consumo del vino nelle nuove generazioni?
Credo che parlare di vino e di giovani sia una contraddizione nei termini. I giovani sono destinati a diventare adulti, e lo fanno in fretta. Se io oggi intraprendo una campagna di comunicazione del vino rivolta ai giovani, quando la mia campagna sarà conclusa i destinatari apparterranno già ad un altro segmento sociodemografico, e io avrò buttato impegno, tempo e denaro. Il vino è vino e l’umanità è umanità, solo la sottolineatura della componente umanistica del vino può salvare il vino. La convivialità e la condivisione appartengono a tale dimensione. Ce lo dimentichiamo spesso, cercando scorciatoie comunicazionali che hanno il fiato corto.
“Vuoi scendere in cantina da me a vedere dove tengo a stagionare le delusioni?” (Maurizio Manco)
Ha qualche delusione sotto chiave e chiusa in cantina?
Da una decina di anni ho deciso di leggere la vita secondo la dimensione della positività. Mi impegno a trasformare le debolezze in opportunità e i rischi in punti di forza. Sotto questa prospettiva, anche una delusione è uno stimolo al miglioramento. Dunque, non tengo a stagionare alcuna delusione.
“Una bottiglia di vino contiene più filosofia che tutti i libri del mondo.” (Louis Pasteur)
Qual è la bottiglia con dentro tutta la sua filosofia di vita?
Quella che berrò domani, e poi quella del giorno successivo, e ancora e ancora, finché potrò bere vini che possiedano un’identità. Sono curioso della vita, e il vino è una metafora dell’esistenza.
“La gentilezza dovrebbe diventare il modo naturale della vita, non l’eccezione.” (Buddha)
Garbo e gentilezza sono uno stile di vita che lei ha condiviso da sempre. Che ne pensa del giornalismo urlato (gridato), volgare e sfrontato? Per scrivere un articolo oggi bisogna realmente essere irriverenti o l’educazione, la cultura, la formazione bastano?
Ritengo che si possano dire verità molto scomode anche quando si esprimono con un sussurro, e penso anzi che il sussurro possa lasciare un segno molto profondo, perché costringe all’attenzione. Invece la parola urlata è destinata a essere presto travolta da un grido più acuto. Faccio giornalismo, non sono interessato allo show.
“Un vincitore è un sognatore che non si è arreso”. (Nelson Mandela)
Non arrendersi mai è un must della vita che ci permette di raggiungere i nostri obbiettivi. I suoi sogni si sono realizzati?
Il mio sogno è quello di poter continuare a sognare, e questo sogno sinora l’ho realizzato. Sono uno strategist, un professionista che per attitudine e mestiere cerca di leggere il futuro come se fosse già qui che si realizza. Prima o poi mi acquieterò.
“Il mio progetto preferito? Il prossimo”. (Frank Lloyd Wright)
Il suo prossimo progetto?
Narrare il vino sotto una prospettiva diversa, per certi versi più azzardata, in una dimensione ancora più libera. Ci sto lavorando. È un libro di cui ho già scritto, in cinque anni, in una ventina di stesure, nessuna pubblicata, perché le prime diciannove non erano abbastanza convincenti. Chissà se la ventesima è quella buona.
Non tutti sanno che …
Torno all’inizio, a quando mi chiamò Giorgio Gioco. Non tutti sanno che mi occupavo di storia della gastronomia, soprattutto dell’età medievale e rinascimentale. Quando mi chiamavano a tenere delle conferenze, si aspettavano una persona più anziana, certamente non un ventenne. Inoltre, non tutti sanno poi che ho lavorato nel mondo bancario e finanziario. Ho scritto le relazioni di bilancio di banche importanti. La mia lettura del vino come fatto economico deriva da lì. Però sono sempre stato attento a tenere rigorosamente separate le mie diverse occupazioni, perché nessuna condizionasse le altre. Oggi ho un’età che mi permette di svelarlo.
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