Fabio Tammaro, con tutto il mare possibile





Chi ama il mare sarà sempre libero” detta in ogni porto il motto della Lega Navale Italiana, ma anche:
“Chi nasce in una città di mare ha l’estate nella vita tutto l’anno” e ovunque tu vada ti porti dentro l’odore delle alghe spiaggiate, il sapore del sale e la sabbia tra le dita.
C’è un cuoco a Verona con il mare dentro che si è portato al nord tutto il mare del sud fatto di reti, pescatori, canne da pesca e di riti segreti in fondo al mare.
Il suo nome è Fabio Tammaro, chef affermato e noto agli intenditori e appassionati di mare in ogni declinazione. Nel suo ristorante, Officina dei Sapori, prepara ricette a base di passione mare, con un occhio fusion alla cucina nipponica e dichiara che dopo la cucina molecolare, la destrutturazione dei piatti c’è bisogno di un ritorno alla semplicità.
Dopo questa breve intervista, ci svelerà i segreti, le cotture e le peculiarità di alcuni dei pesci che abitualmente arrivano dal mare sulle nostre tavole e i modi più idonei per cuocerli e prepararli.

Seguiteci sin d’ora.
ricette

Esportare al nord un modello di ristorazione che al sud è largamente diffuso è stata la chiave vincente del tuo successo. Cos'ha il tuo ristorante che le altre cucine a base di pesce non hanno? Spiegami perchè dovrei sedermi alla tavola dell’Officina dei Sapori di Fabio Tammaro? 
Io penso che Verona sia una meravigliosa città che offre ai gourmet diverse proposte, ognuna sincera alla tipologia del locale che la propone. L’Officina dei Sapori ha nel suo DNA proprio questo, la sincerità dell’offerta.  Quando ci si siede al nostro tavolo e si apre il menù, si trova una breve introduzione su quali pesci trattiamo, come li trattiamo e con quale etica. Per noi è di fondamentale importanza trasmettere tanto la nostra passione quanto la sincerità dell’offerta, mettendo sempre il mare al centro di ogni cosa, con i suoi pro e i suoi contro. Fare comunicazione oggi è fondamentale e siamo felicissimi di essere apprezzati anche per questo.

Come hanno accolto i veronesi questo tuo progetto? 
Sono molto felice di aver acquisito nel tempo la fiducia di molti veronesi. Inizialmente ci sono state non poche difficoltà: la ristorazione che proponiamo è a “senso unico”, facciamo solo pesce di mare pescato e trattiamo solo pesci fuori dalla solita filiera commerciale.  Da noi non troverei mai salmoni, branzini, orate e anelli di totano per intenderci. Lavoriamo solo pesci “di stagione” ed esemplari che hanno superato l’età adolescenziale per permettere la riproduzione della specie. La soddisfazione più grande, il gesto di fiducia più apprezzato, è sicuramente la reazione dei veronesi al nostro crudo di mare. Nel 2010, quando iniziammo, veniva scelto un piatto su cinque di crudo; oggi viaggiamo a circa due piatti su tre.  Per noi è una grandissima gioia, nonché responsabilità.

Si legge ovunque la tua attenzione scrupolosa per la scelta della materia prima, della tutela dell’ambiente, zero sprechi e tracciabilità del pescato che cucini. E’ questa, dunque, la base da cui partire per la nuova impresa di ristorazione o pensi sia solo frutto di una tua lodevole iniziativa?
Sinceramente non mi sono mai posto questa domanda, ho sempre agito seguendo il mio unico modo di saper fare ristorazione, perché in fondo è quello che ho sempre voluto. Nell’epoca veloce nella quale viviamo, dove abbiamo tutto a portata di smartphone, è un controsenso che ci sia tanta disinformazione, soprattutto su ciò che mangiamo. Spesso al ristorante, ma anche nei vari corsi di cucina che faccio, dedico sempre molto tempo alla teoria. Sapere cosa si sta ingerendo è fondamentale in questa realtà anestetizzata e dipendente solo dal risultato finale. Non si può cucinare se non si sa cosa si sta preparando, la sua storia, la sua origine, come è arrivato a noi quel prodotto. Il cuoco non è altro un artigiano al servizio di madre natura. Ad esempio: quante persone sono a conoscenza che in Italia sono riconosciute pescabili ben oltre 350 specie di pesce? Eppure sui banchi ittici ne troviamo sempre le stesse 20, metà delle quali importate da allevamenti esteri.
Bisogna far appassionare i consumatori alla materia prima, al cibo prima che ai piatti finali. Essere ciò che si mangia non è solo un detto, è pura realtà.

Da dove arriva questa tua esperienza sui prodotti del mare? Sei stato pescatore o cosa? 
Quando nasci tra il canto dei gabbiani a pochi metri dal porto, difficilmente resti impassibile al mare. Per noi gente di mare, il mare è come una persona di famiglia. Quando ci allontaniamo è come non vedere più un parente caro.  La mia passione per il mare la devo esclusivamente a mio padre; lui mi ha insegnato a stare in acqua, sull’acqua e nell’acqua, mi ha insegnato a remare, a manovrare le barche e a pescare. Siamo entrambi pescatori amatoriali, diciamo che amiamo perdere ore ed ore a largo, in silenzio, tirando su piccoli pesci da frittura o da zuppa. Mi ha insegnato la cosa più preziosa al mondo: il rispetto verso il mare ed ogni suo abitante. Il resto l’ha fatto la città dove ho vissuto, Torre Annunziata, con le sue reti e i suoi pescatori.  Per me mare vuol dire casa

Cosa ti manca di Torre Annunziata e della Campania? Ci torni spesso? 
Il rapporto che ho avuto con la mia città è stato di odio e amore, come tutte le storie di amore. Una città che mi appariva grande da adolescente e minuscola da ragazzo, che mi stava stretta nonostante avessi sempre l’orizzonte davanti a me. Credo che essere andato via a 20 anni sia stato fondamentale per la mia formazione professionale ed umana; è stato un po’ come allontanarsi per mettere meglio a fuoco la situazione. Mi manca la salsedine, i suono dei gabbiani, il mercato del pesce, i venditori ambulanti, l’aria che profuma di pizza e i tanti rapporti cuciti in 20 anni di vita. Mi mancano sicuramente i miei cari. Avendo un’attività da gestire è sempre difficile liberarmi ed andare giù, ma mi sono promesso di tornarci almeno 2 volte l’anno, se non altro per abbracciare i miei cari. E poi devo ricaricarmi di salsedine...sembra poco.

La carta dei vini del tuo ristorante ha pochissimi vini campani che, con la cucina di pesce, andrebbero benissimo. Perché una scelta così penalizzante? 
La stessa etica, ricerca e selezione che usiamo in cucina la utilizziamo anche per la carta dei vini e per i distillati. La nostra carta vini è frutto di diverse collaborazioni con i nostri amici vignaioli; con ognuno di essi ho un rapporto diretto ed ognuno utilizza tecniche di coltivazioni rispettose verso la natura e la vite. In Campania ho solo poche referenze che ricoprono quattro zone completamente differenti, dalla costa all’entroterra, dal napoletano al salernitano, passando per le svariate province di Caserta, Avellino e Benevento. Ma quello che è davvero interessante sono le storie uniche di questi territori meravigliosi, lavorati secondo tecniche che tutelano la pianta e l’uva. Viticolture eroiche, alcune ultracentenari, basate spesso sul recupero di viti antichissime che l’Unità d’Italia aveva minacciato (Vittorio Emanuele II ordinò la distruzione di alcuni vitigni nell’ entroterra campano per far emigrare i braccianti nelle fabbriche del Nord). Il ristoratore resta pur sempre un selezionatore di prodotti, non un supermercato che deve avere a tutti i costi mille prodotti simili.

Cosa ne pensi dell’influenza orientale sulla cucina italiana?
L’Oriente vanta una grandissima tradizione culinaria, una vera e propria cultura del cibo e della tavola, ben distante dalle false imitazioni che troviamo spesso in giro in Occidente.
Noi possiamo vantare prodotti unici e una varietà infinita di vegetali, di pesci e di carni, ma in compenso loro vantano tecniche di cottura e di conservazioni uniche al mondo, tra le più salutari; non a caso da una recente ricerca sulla qualità della vita, le isole di Okinawa in Giappone detengono il primo posto per qualità dell’ aria, dell’acqua e della terra (vantando ben 40 ultra centenari).
Mi sono avvicinato al mondo orientale inizialmente per puro spirito di curiosità, ultimamente anche grazie al mio sous-chef, Andrea Berti, grande amante del mondo nipponico e della cultura culinaria giapponese, tanto da vantare prestigiose collaborazioni europee (Nobu di Londra). Non a caso si è sposato con una giapponese di Hokkaido ed è sempre aggiornato sul mondo orientale.
Insieme studiamo e proviamo cose nuove, abbinamenti inusuali, sfruttando la materia prima del Mare Nostrum, i profumi del bacino Mediterraneo e le tecniche di conservazione, marinatura, fermentazione e cottura nipponiche.
Questo è l’ennesimo esempio di come la cucina sia sempre comunicazione e scambio di esperienze, anche da mondi apparentemente così lontani.
E soprattutto la cucina è unione, mai divisione.




Ritratti di sommelier: Giuseppe Palmieri, un viaggio tra sassi e stelle per ritrovare se stesso




Ritratti di sommelier è un viaggio nelle sale dei migliori ristoranti d’Italia e inizia dai protagonisti assoluti: i sommelier. 
Che rapporto hanno con lo Chef e la cucina stellata? Che tipo di scelta detta gli acquisti per la loro cantina? 
Queste interviste ci sveleranno i segreti di un lavoro che si svolge a stretto contatto con le grandi cucine italiane che sono, per gli appassionati, quei luoghi magici, sacri e incantati dove ogni giorno si ripete il rito della preparazione del cibo.

Beppe Palmieri, maitre e sommelier d'eccezione, dopo anni di gavetta e duro lavoro approda a Modena, in via Stella 22, al ristorante Osteria Francescana dove il patron Massimo Bottura gli apre le porte della sua cantina. Allora non sapeva che il suo viaggio Matera-Modena solo andata, lo avrebbe portato in un solo e unico posto: ritrovare se stesso.

Come sei approdato all’ Osteria Francescana e quali sono state le tappe della tua carriera professionale? 
Sono partito da Matera nel '96 con un amico in treno, un viaggio lungo quanto l'Italia, destinazione: lago di Como. Abbiamo cominciato a “bussare” alle porte di grandi alberghi passando ore in una cabina del telefono con un elenco della Telecom in mano alla ricerca di un lavoro, senza successo. Ricordo ancora una signora che ci avvicinò incuriosita: le spiegammo che eravamo in cerca di lavoro e lei commentò che in quel posto non avremmo mai trovato un impiego.
Risalimmo sul treno in viaggio per la Romagna. Per tre giorni girammo in lungo e in largo Rimini e Riccione, ma ogni nostra richiesta di lavoro, nei grandi alberghi, venne rifiutata. Ritornammo a Matera quando, all'improvviso, giunse una chiamata da un albergo di Cattolica: il Grand Hotel Diplomat.
Dopo tre giorni sono partito con un borsone, pochi vestiti e 300.000 lire in tasca.
Non scorderò mai quel viaggio: un mix di eccitazione, grande energia e tanta voglia di fare, avrei spaccato a metà il mondo pur di trovare una via di fuga. Amavo e amo Matera, ma una certa cultura del lamento mi stava strangolando, e io avevo voglia e bisogno di esprimermi e di lavorare.
Finita la lunga stagione fatta di duro lavoro, insegnamenti e fatica, arriva per me un’altra occasione: Villa Crespi di Orta San Giulio, 1 stella Michelin e un albergo di lusso dove cercavano un cameriere. Da Cattolica, dunque, sono partito per il Piemonte ricominciando a lavorare sodo. Qui ho trovato un contesto diverso e appagante, in cui ho scoperto la mia passione per il vino e per un servizio migliore dedicato all’ospite.
Dopo un anno e mezzo a Villa Crespi è la volta della Taverna del Pittore, ristorante stellato di Arona sul lago Maggiore: esperienza altamente formativa e impegnativa. E dopo ancora:  Lucca, nel Relais e Chateaux Locanda l’Elisa, qui cercavano un maitre e sommelier e per me è stata la volta di una nuova avventura professionale.
Dopo un anno in Toscana mi aspettava l'avventura londinese. A Londra e al Ristorante San Lorenzo potevo perfezionare l’inglese e fare un’esperienza di vita appassionante nonchè difficile e significativa.
Dopo l’Inghilterra ho seguito un collega di Villa Crespi a Porto Ottiolu per una lunga stagione con la Famiglia Giageddu e subito dopo un’altra occasione imperdibile a Castel Guelfo di Bologna, in un ristorante in cui una proprietà ambiziosa e il giovane chef di talento Bruno Barbieri volevano raggiungere grandi traguardi, 2 stelle Michelin ed enormi responsabilità: avevo voglia di lavorare duro, quindi governance e stakanovismo non mi spaventavano anzi erano stimoli straordinari.
Poi, infine l'approdo a Modena: ho chiesto lavoro ad un giovane e travolgente Massimo Bottura. Uno dei miei sogni era l'America, NewYork, ma ho scoperto poi in seguito che la mia America era in Emilia.
Tanto lavoro e pochissime ferie fino ad allora era la mia scelta di vita e nulla è cambiato da allora: ho sempre lavorato tanto, per passione, per imparare e crescere. E oggi insisto più che mai!

Oggi il sommelier è una figura professionale indispensabile nell’impresa di ristorazione o è una figura riservata solo a ristoranti stellati o location di prestigio?
Il sommelier oggi e’ una figura diversa, che da un contributo determinante, perchè rende l’esperienza professionale più completa e gratificante.
A qualsiasi livello di ristorazione, perchè non esiste un segmento specifico in cui posizionare la figura del sommelier. Mai essere autoreferenziali: è necessario dedicare tempo e risorse allo studio e alla pratica. Ci vuole curiosità, cultura, conoscenza e stile.
Bisogna studiare a menadito i fondamentali e iniziare un percorso personale da condividere con un gruppo di lavoro, e poi bisogna avere la fortuna di bere i grandi e piccoli vini con chi “sa bere”, stando in silenzio per imparare e per conoscere. Io da questo punto di vista devo molto a Fabio Luglio, Andrea Grignaffini, Andrea Vincenzi e Andrea Battilani. Io ero un ragazzino e loro, più grandi di me, mi hanno insegnato “a bere”. Da Accomasso a Soldera, da Gravner a Podversic, da Leroy a Latour, da Bellei degli anni d’oro a Taurino.

Cucina e sala, una squadra che vince quando lavora in armonia. Massimo Bottura è uno chef che informa, comunica e pianifica il lavoro? Che rapporti ci sono tra il sommelier Beppe e lo chef Massimo?
Ho sempre avuto la lucidità per riconoscermi nel ruolo di gregario, ho dedicato la mia prima giovinezza all’Osteria Francescana e senza paura ho vissuto il mio rapporto dedicandomi completamente e cosi vivo travolto dalla passione per il mio lavoro. Il successo di un cuoco e i conti in ordine di un ristorante, a qualsiasi livello, dipendono da un gruppo di sala che si dedica completamente alla cucina, per raccontare e trasmettere contenuti, passione e idee.

Come nascono gli abbinamenti cibo-vino all’Osteria Francescana, lavorate insieme sull’abbinamento o decidi solo tu? Massimo Bottura ha un carattere facile? 
Da sempre condivido con tutti i miei colleghi il nostro modo di abbinare un vino, un drink, una birra e un distillato. Se dal punto di vista accademico abbiamo imparato che gli abbinamenti si fanno per armonia, tuttavia stiamo portando avanti il nostro lavoro sui grandi contrasti, che sono la maniera più complessa e più interessante per arrivare all’armonia stessa. In merito al difficile esercizio dell’abbinamento possiamo dire che serve grande sensibilità per stare un passo indietro e andare in profondità nel rapporto tra cibo e vino.

La cantina: orgoglio e sogno di ogni sommelier. Quante bottiglie e quante etichette riesci a gestire? E le tue scelte in che direzione vanno in questi tempi in cui c’è sempre più richiesta di “vini naturali” ? 
Abbiamo una cantina che conta 1800 etichette: uno spazio classico interno al ristorante dove conserviamo le bottiglie di pregio, ed uno esterno e distaccato dove stocchiamo al meglio tutto il resto. Nel 2001 ci siamo avvicinati ai vini veri, naturali e buoni. Indimenticabile il viaggio nel 2002 in Borgogna da un giovanissimo Pacalet e ad Arbois da Stephane Tissot. E' stata un’esperienza che mi ha segnato profondamente, da allora ho iniziato ad amare i vini dei vignaioli, da Pizzamiglio a Cristiana Tiberio, da J.L. Chave a Soldera, da Ledru a Deiss, da Luca Ferraro ad Arianna Occhipinti. Nel 2003, poi, la scoperta, grazie a Giancarlo Mascovitch, dei grandi riesling tedeschi e austrici.

Ti capita di far visitare ai clienti la cantina? Qual è il vino o i vini che proponi con più orgoglio? 
In questo momento siamo impegnati per la divulgazione e l’utilizzo dei vini italiani fatti con passione, cura e maniacalità. Diamo spazio a tutti quelli che lo meritano, ma non dimentichiamo i vini del resto del mondo. Nel mio cuore ho ritagliato un posto speciale per il Fonte Canale di Cristiana Tiberio, perchè rappresenta la modernità e la bellezza di un vino italiano raffinato e fine, con un tratto volgare e una tessitura senza eguali: un piccolo capolavoro che segna un passaggio epocale per il vino italiano, e poi su tutto il coraggio di Cristiana, che ha creduto in un sogno, e in Fonte Canale ha visto quello che gli altri non riuscivano a vedere.
Tutte le volte che ce lo chiedono con piacere ed orgoglio portiamo i nostri Ospiti in cucina e poi in cantina per una visita.

Cosa è cambiato all’Osteria negli ultimi anni? Essere sulla vetta del mondo comporta onori e oneri pesantissimi: ne è valsa la pena comunque? 
Fino al giorno in cui continuerò a sentirmi attuale e innamorato del mio mestiere porterò avanti questa storia incredibile fatta di passione, voglia di spostare ogni giorno i limiti sempre un pò più in là, e duro lavoro. Sono partito dal posto perfetto per fallire, non ho mai rivolto lo sguardo al passato con nostalgia e amo davvero quello che faccio. I traguardi e i risultati sono sempre stati una conseguenza della passione smodata e il senso del gruppo.

Che ne pensi delle recensioni dei critici gastronomici che non bevono vino e che non hanno competenze “critiche” per valutare un abbinamento cibo-vino? 
Penso che chi fa il mio mestiere deve evitare la polemica come la peste: ben fatto è meglio di ben detto.

L’utilizzo di ingredienti che arrivano da tutto il mondo anche nelle cucine degli chef italiani e stellati richiedono a volte abbinamenti di bevande diverse dal vino. Il sommelier di un ristorante come l’Osteria Francescana ha il dovere di sperimentare equilibri e proposte differenti dal vino?
La ricerca è stata la via per metterci in discussione e fare avanguardia in cantina, cioè portare il cambiamento. Penso alla genziana con Omaggio alla Normadia, al Barolo chinato con “A volte pernice e a volte germano”, penso al drink NonLoSo, e penso a quando 15 anni fa servivamo il sauternes con il cultello tra la diffidenza di pochi e la curiosità di altri.

Se non lavorassi qui all’Osteria Francescana in quale altro ristorante pensi che avresti realizzato il tuo lavoro al meglio? 
Non riesco ad immaginare la mia vita in un altro posto, ho scelto Modena con il cuore, ed ho lottato in primis con me stesso per raggiungere grandi risultati insieme ai miei colleghi.




(foto: sito web "Gambero Rosso")

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