Cult food: "Sa Casada", mille anni di storia casearea




L’antropologa alimentare Alessandra Guigoni ci parla della sua passione per i formaggi e della “Casada” golosità cremosa e vellutata, un prodotto caseareo ammesso di recente tra le nuove P.A.T. (prodotti agroalimentari tradizionali) della Sardegna.


L’Italia è il paese delle eccellenze enogastronomiche: questo non è solo un mantra ripetuto all’infinito dagli addetti ai lavori ma è la realtà che viviamo ogni giorno. Parlaci della “Casada”, il prodotto lattiero caseario sardo di cui hai curato, con successo, l’iscrizione nel registro dei PAT: ci hai creduto sin da subito?
Sì, da subito. Ha un sapore delizioso ed è un prodotto millenario, antico quanto l’allevamento di capre, pecore e mucche. Appena l’ho conosciuto, dalla casara Maria Atzeni, me ne sono innamorata. Mi sono immaginata una donna preistorica, una donna nuragica, che dopo aver notato con quanto piacere l’agnello succhiasse il latte materno abbia pensato: chissà se è buono anche per la mia famiglia… e l’abbia scaldato sul fuoco, scoprendo con grande sorpresa che il colostro coagula già a 70° e diventa una specie di budino; a quel punto si può aggiungere del miele o gustarlo così, o ancora un pizzico di sale, ed è un alimento assolutamente nutriente e digeribile. Non per nulla il colostro è l’alimento esclusivo di tutti i mammiferi lattanti, contiene molte proteine, Sali, vitamine e offre una protezione passiva al lattante, avendo gli anticorpi materni. Preparare sa casada non richiede l’abilità che necessita la caseificazione del latte, e inoltre è un modo intelligente di smaltire il latte colostro in eccesso, che non viene succhiato da agnelli e capretti, e che non si presta, per le sue caratteristiche chimico-fisiche, alla caseificazione ordinaria. Infatti il colostro costituisce un alimento in molte culture, da quelle scandinave e a quelle indiane. L’ho spiegato nell’Enciclopedia della Oxford University che uscirà a novembre negli Stati Uniti, dedicata al formaggio, the Oxford Companion of Cheese. Finalmente sa casada diventerà nota in tutto il mondo, non vedo l’ora. Il formaggio è una delle tue passioni.


Hai da poco frequentato con successo il corso Onaf, un master per assaggiatori dei prodotti caseari. Hai qualche curiosità da rivelare a noi consumatori? Gli intolleranti al lattosio devono rinunciare al piacere della degustazione? 
Gli intolleranti al lattosio ormai possono scegliere tra una pletora di formaggi a bassissimo contenuto di lattosio, ma persiste il problema dell’origine del latte, per alcuni formaggi. Io consiglio di scegliere formaggi artigianali, in cui gli animali siano stati a lungo al pascolo e dunque il latte sia di alta qualità. Inoltre quei formaggi garantiscono che ci sia stato un trattamento più etico degli animali stessi.


Noi italiani abbiamo uno strumento affinato che altri popoli non hanno: il palato. Mille papille gustative abituate, forgiate ed educate da sempre ad assaporare il meglio della gastronomia mondiale. E’ così difficile accontentare un palato tanto allenato? 
Dovrei dire di sì, per la regola della captatio benevolentiae, ma ti rispondo di no. Gli Italiani mediamente non hanno consapevolezza di ciò che mangiano, non distinguono un prodotto di eccellenza da uno di scarto, non hanno basi di educazione alimentare, storia e cultura del cibo, figuriamoci di analisi sensoriale. I food and wine writer possono veramente fare la differenza e aiutare il pubblico a farsi una cassetta degli attrezzi che serva loro a capire cosa è e come si legge una etichetta, cosa significa tracciabilità, cosa è la dieta mediterranea e come è fatta la piramide alimentare e via discorrendo.


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