Su il sipario, a Barletta è di scena la cucina di Franco Ricatti



Lo chef Franco Ricatti ritorna nella sua Barletta, la città in cui conquistò, primo e tutt’ora unico in Puglia, le due stelle Michelin. Era il 1990 e, da allora, la cucina di Bacco è rimasta sempre ad altissimi livelli. L’ho intervistato a pochi giorni dall’apertura del suo nuovo ristorante che, come lui stesso mi ha raccontato, rappresenta la meta di tutta una vita dedicata alla ristorazione.

Perché questo ritorno a Barletta, la tua città? 
Il mio ritorno a casa, a Barletta, è il cerchio che si chiude. Ritorno da dove sono partito con un ristorante di grande interesse per location e comfort, ispirato agli anni '80 ma sobrio ed accogliente.

Che tipo di ristorazione offrirai? 
La ristorazione non cambia, non seguo le mode semmai le faccio e gli altri mi imitano. La mia è stata sempre una cucina innovativa e questo piace alla mia clientela più affezionata.

Ti faccio questa domanda non a caso, visto che ne sei stato il pioniere, specie qui nel sud: quanto ha influito la nouvelle cuisine sulla ristorazione italiana e come si é evoluta nel tempo? 
La Nouvelle Cusine ha dato una forte spinta innovativa alla cucina italiana e io ho sicuramente influito su quella pugliese. Negli anni 80, all'inizio della mia professione, eravamo circa in 20 in tutta Italia. Pochi e coraggiosi, volevamo cambiare il mondo stagnante della ristorazione italiana e ci siamo riusciti.
Eravamo liberi professionisti o universitari, divulgatori della cultura del cibo, attenti alle materie prime e al territorio: questa fu anche la novità assoluta perché il ristoratore non poteva provenire dal mondo della imprenditoria ma storicamente era un semplice oste o cameriere.
Negli ultimi anni l’evoluzione è stata fin troppo eccessiva, quasi estrema. Oggi con il web e la rete siamo diventati tutti cultori ed intenditori, gastronomi e critici.

Barletta, America, Roma, Bologna, Barletta, Bari e ora di nuovo Barletta: questo tuo girovagare è frutto di incomprensioni, inquietudine o insoddisfazione? 
Incomprensioni con la mia clientela, mai. I miei ospiti, fedelissimi o avventori, cultori della buona tavola e del buon bere hanno sempre "compreso" i miei piatti e la mia filosofia di cucina.
Inquietudine invece sì, ma intesa come "piacere": non c'è niente di più bello e stimolante che crearti un palcoscenico sempre diverso, la mia vita è stata sempre una ricerca del nuovo e del buono. Rimettersi ogni volta in gioco, non é assolutamente facile ma è galvanizzante e ora che sto per riaprire il mio nuovo ristorante a "casa" é una vera gioia!

Ti senti in credito o in debito con questo mondo della ristorazione? 
La mia attività di ristoratore la divido in due parti, lo spartiacque é il mio viaggio negli States. Prima di partire per l’America, fino al 1993 all’incirca, mi entusiasmava il mondo della comunicazione che, in seguito, ho scoperto essere un mondo effimero, fatto di sole apparenze.
Il periodo post americano è stato quello della consapevolezza. Per problemi di carattere familiare ho fatto rientro in Italia. Ho cercato e voluto un isolamento che mi ha allontanato dal mondo della comunicazione e dal palcoscenico mediatico. Per questo mi sento in credito con il mondo della ristorazione ma forse la colpa é solo della mia chiusura. Ma ne sono felice perché, in fondo è quello che voglio: essere e non apparire.

Hai a disposizione un solo piatto per raccontare Franco Ricatti, quale scegli? 
Io sono legato per affetto agli "spaghetti ai ricci di mare” che ho realizzato per primo in Puglia. Lo considero uno dei miei piatti classici e non lo toglierò mai dal mio menù ma come chef e ristoratore il piatto che più mi stimola é la "tiella barese" di patate, riso e cozze.
Un piatto perfettibile. Nella sua preparazione si deve sempre trovare un equilibrio tra la cottura del riso, della patata e delle cozze. Anche i più grandi cuochi hanno provato a realizzarlo ma con grande difficoltà. Il riso della tiella è l'unico esempio di riso crudo cotto direttamente al forno, quando lo racconti a Milano, a New York o a Shanghai non ti credono.
Riuscire a coordinare le cotture é difficile, devi parlare con il tuo forno per creare un equilibrio con l'acqua e il resto, altrimenti il riso si scuoce e la patata resta dura. É una sfida tra te e il piatto, ogni volta alla ricerca della perfezione.

Qual è il tuo chef italiano preferito? 
Gualtiero Marchesi, in assoluto. È il primo che ha creato l'immagine dello chef in Italia anche se negli anni 80 lo accusavano di fare "cucina francese”. Non capivano che qui abbiamo una materia prima ottima, ma non si può fare la grande ristorazione a colpi di "pane amore e fantasia”, ci vuole tecnica, studio e metodo.

Il bello e il brutto del tuo mestiere e del mestiere di chef? 
Il bello è sentirsi padrone del palcoscenico ogni sera, anche quando hai solo due clienti nel ristorante. É molto gratificante. Ma stare lontano dagli affetti é un prezzo molto alto da pagare. Anche se ho avuto mia moglie sempre accanto in cucina, sono stato lontano dai figli a lungo.
La mia giornata lavorativa è di 18 ore. Si chiude alla 2 di notte e alle 7 di mattina sei già al telefono con i fornitori. Il pomeriggio contabilità e corrispondenza. E poi di nuovo al lavoro. Ci vuole passione, senza non vai da nessuna parte.

Barletta é una meta o una tappa? 
Sicuramente una meta: Barletta con i suoi mille controsensi e le sue mille contraddizioni rimane sempre una città molto dinamica e attiva.
E poi i barlettani sono orgogliosi del mio lavoro, mi rispettano e fanno il tifo per me. Quello che invece non c'è stata é l'attenzione dei politici.
Il ristorante Bacco per alcuni anni è stato uno tra i primi 10 in Italia e mai si è cercato di creare qualcosa pensando al territorio, alle risorse agroalimentari e al suo indotto.
Il nostro Castello poteva essere la sede ideale per eventi di carattere internazionale sulla cucina, ristorazione, prodotti del territorio e invece niente. 

Insomma, un’occasione mancata, ma io amo questa città e non vedo l’ora di ricominciare sul mio nuovo "palcoscenico".



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