Wine Writers: Angelo Peretti, lo strategist del vino identitario



Chi sono i più famosi wine writers italiani? Le penne più intriganti, appassionate, raffinate, rivoluzionarie o irriverenti si raccontano in una serie di interviste che svelano curiosità e aneddoti di vita quotidiana. 

Angelo Peretti è un giornalista pubblicista, collabora dal 1979 con numerose testate. È direttore responsabile di InternetGourmet.it. Ha pubblicato vari libri dedicati all’ambito gastronomico e vinicolo e ha collaborato con alcune delle più note guide italiane dei settori del vino, della ristorazione, dell’olio extravergine di oliva. Ha inoltre elaborato progetti di posizionamento strategico per alcuni consorzi di tutela. 


“Il tuo lavoro occuperà gran parte della tua vita, e l’unico modo per essere davvero soddisfatto è fare un lavoro che consideri fantastico. E l’unico modo per fare un lavoro fantastico è amare quello che fai.” (Steve Jobs) 
Come è approdato in questo fantastico mondo del vino? Qual è stata o qual è la sfida più difficile del suo lavoro e perché dovremmo scegliere di leggere il suo Internet-Gourmet. 
Nel 1986, Giorgio Gioco, il cuoco e proprietario del ristorante 12 Apostoli di Verona, tra i primi in Italia a ricevere la stella Michelin, mi chiamò a far parte del gruppo di lavoro di un libretto sui pesci e sulla cucina di pesce del lago di Garda. Avevo ventisette anni e scrivevo di cronaca e di tradizioni locali per il quotidiano veronese L’Arena. Ci rendemmo conto che il libro aveva bisogno di un capitoletto sui vini gardesani. Gioco affidò l’incarico a me. Fu il mio primo testo sul vino, non ho più smesso di scriverne. Negli anni Novanta fondai la condotta gardesana di Slow Food e nel 2001 incominciai a collaborare con la guida dei Vini d’Italia, che era edita insieme con il Gambero Rosso. Eravamo nel pieno dell’ondata di parkerizzazione del vino italiano: andavano affermandosi i vinoni concentrati, alcolici e tannici. Per un po’ ne fui affascinato anch’io ma me ne disamorai molto presto. Nel 2003, dopo aver detto in un convegno che non avrei mai aperto un blog, ne fondai uno. Si chiamava I Ghiottoni, che era il nome di una micro casa editrice messa in piedi con due amici cuochi, Isidoro Consolini e Flavio Tagliaferro. Pubblicavamo libri sulla storia della cucina gardesana, ma sul blog scrissi sempre più di vino. Poi Flavio si trasferì in America e chiudemmo I Ghiottoni. Io volli dare vita a una testata giornalistica indipendente che ne replicasse il logo: la I divenne Internet e la G diventò Gourmet. InternetGourmet nacque così, nel 2006. Tre anni dopo, nel 2009, pubblicai il mio “Elogio del vinino – ovvero – Manifesto per la piacevolezza dei vini da bere”. Eravamo ancora nell’epoca dei vini “grossi”, invece io teorizzavo un vino territoriale fatto per essere bevuto, magari semplice, però mai banale, e comunque sempre fortemente identitario. Se ne discusse molto. Restai minoritario, ma continuai per la mia strada, che ora è condivisa da molti. Lo spirito d’indipendenza di allora e l’idea di supremazia della piacevolezza continuano a contraddistinguere InternetGourmet. Credo che il contenuto maggiore della mia sfida personale sia la coerenza: scegliere una via e percorrerla con determinazione, sapendo che ha un costo e che posso apparire antipatico. Chi mi legge, e grazie al cielo sono moltissimi, anche all’estero, credo che mi apprezzi per questo.


“I giorni indimenticabili della vita di un uomo sono cinque o sei in tutto. Gli altri fanno volume.” (Flaiano) 
Quali sono i suoi giorni indimenticabili? 
Nel mio percorso di conoscenza del vino, ci sono due momenti che restano indelebili, perché hanno rappresentato altrettante svolte fondamentali. Sono legati a due vini. Più di venti anni fa, invitai a guidare una degustazione di vini bianchi Gianni Fabrizio, che collaborava con Vini d’Italia. Portò lui i vini. Uno mi lasciò del tutto indifferente. Lo dissi, e Gianni mi invitò a rifletterci. Il giorno dopo, rassettando la stanza, mi accorsi che ne era rimasto un dito in una bottiglia. Me ne versai e mi si aprì un mondo. Il vino era diventato elegantissimo e complesso: aveva solo bisogno di aspettarlo. Quel vino era una Coulée de Serrant di fine anni Ottanta. Poco dopo ebbi occasione di bere il Saint-Émilion ‘62 di Château Fonplégade. Lo trovai giovane ed elegantissimo. Fu il vino che mi fece comprendere che la finezza non si cura del tempo che passa, e certamente non si basa sulla muscolarità. Entrambi i vini mi insegnarono, inoltre, il ruolo vitale del terroir. L’attesa paziente, la primazia della finezza e l’espressione dell’identità territoriale sono divenute le mie chiavi di lettura del vino.


“Il giornalista deve avere sempre e comunque una religione del dubbio.” (Ferruccio De Bortoli) 
Alcuni affermano che il giornalismo del vino non esiste in quanto sorretto economicamente dai produttori stessi. Altri sostengono che siano i contenuti a fare la differenza. Alla luce di un comparto così rilevante per l'economia nazionale lei che ne pensa? 
Il giornalismo non ha bisogno di alcun complemento di specificazione. Esiste il giornalismo “e basta”, non esiste il giornalismo “di qualcosa”. Semmai vi sono colleghi che si occupano di giornalismo investigativo, altri che scrivono di cronaca, altri ancora che trattano temi di costume, e vi è anche chi fa l’editorialista. Io credo di essere soprattutto un editorialista, perché tento di offrire una lettura dei fatti del vino in chiave umanistica ed economica, e dunque coerente con il mio percorso culturale e professionale. Il presupposto comune al giornalismo è che ci si rivolga al lettore con una promessa di integrità, un patto che va onorato. Mi si potrebbe domandare dove si collochino coloro che recensiscono i vini, ossia la gran parte di chi ne scrive. Si collocano, appunto, tra i recensori, che svolgono un ruolo di compilazione utile a informare il consumatore. Ma si tratta di un ruolo diverso rispetto a quello del critico, il quale analizza l’opera dell’ingegno secondo un bagaglio complesso di conoscenze specialistiche e anche, talora, secondo la corrispondenza o meno alla linea editoriale che connota la testata, la quale può essere improntata alla totale libertà interpretativa o ad una visione in qualche modo ideologica. Infatti, esiste anche l’ideologia del vino. Ad esempio, la parkerizzazione del vino fu un processo ideologico, e lo stesso si può affermare dell’ascesa del vino naturale. Io non ho nulla contro le interpretazioni ideologiche: mi basta che siano enunciate come tali, il che mi consente di interpretarle in quella chiave specifica, che posso condividere o meno.


“Dopo aver letto un elenco dei possibili danni che l'alcool può recare alla salute, ho smesso di leggere.” (Henny Youngman) 
L’OMS ha esortato a ridurre i consumi di vino 10% entro il 2025 paragonandolo alla tossicità delle sigarette. Cosa pensa di questa comparazione e degli effetti sui mercati? 
Mi occupo di vino perché il vino è uno dei più straordinari testimoni della cultura materiale di un popolo. Sotto questo punto di vista, sarò sempre uno strenuo difensore del vino. Però il vino contiene l’alcol, e l’alcol è responsabile diretto o indiretto di alcune serissime problematicità di natura sanitaria e sociale. Dunque, non dirò mai che il vino fa bene. La stretta che si sta profilando sui consumi di alcol avrà impatto anche sui consumi di vino, che caleranno, così come caleranno i finanziamenti pubblici alla sua promozione. Da tempo scrivo che si produce troppo vino e che vanno assunte politiche di riduzione della produzione viticola. Inoltre, ho già proposto al mondo associativo del vino di muoversi in una prospettiva di carattere compensativo: va quantificato il danno sociale potenzialmente indotto dal vino e vanno parallelamente assunte dal settore delle misure concrete che consentano di documentare la generazione di un beneficio sociale di valore pari o superiore a quello dei danni arrecati. Io sono convinto che sia possibile, ma si tratta di assumere un processo culturale piuttosto impegnativo.


“Una nazione che non può controllare le sue fonti di energia non può controllare il suo futuro.” (Obama) 
Crisi energetica, guerre, aumento del costo delle materie prime e inoltre mancanza di vetro per le bottiglie. Qual è l’impatto sul settore vitivinicolo e cosa inquieta di più? 
Non mi inquietano mai le contingenze esterne. Mi inqueta la carenza di visione strategica. Io credo che oggi il mondo del vino necessiti una nuova visione strategica, ma non vedo affiorarne le avvisaglie. La mia impressione è che ci si barrichi a difesa dello statu quo, quando lo statu quo non può esistere.


“Una bottiglia di vino implica la condivisione, non ho mai incontrato un amante del vino che fosse egoista.” (Clifton Fadiman) 
Dal vino come alimento al vino come convivialità e condivisione. E’ cambiato il consumo del vino nelle nuove generazioni? 
Credo che parlare di vino e di giovani sia una contraddizione nei termini. I giovani sono destinati a diventare adulti, e lo fanno in fretta. Se io oggi intraprendo una campagna di comunicazione del vino rivolta ai giovani, quando la mia campagna sarà conclusa i destinatari apparterranno già ad un altro segmento sociodemografico, e io avrò buttato impegno, tempo e denaro. Il vino è vino e l’umanità è umanità, solo la sottolineatura della componente umanistica del vino può salvare il vino. La convivialità e la condivisione appartengono a tale dimensione. Ce lo dimentichiamo spesso, cercando scorciatoie comunicazionali che hanno il fiato corto.


“Vuoi scendere in cantina da me a vedere dove tengo a stagionare le delusioni?” (Maurizio Manco)
Ha qualche delusione sotto chiave e chiusa in cantina? 
Da una decina di anni ho deciso di leggere la vita secondo la dimensione della positività. Mi impegno a trasformare le debolezze in opportunità e i rischi in punti di forza. Sotto questa prospettiva, anche una delusione è uno stimolo al miglioramento. Dunque, non tengo a stagionare alcuna delusione.


“Una bottiglia di vino contiene più filosofia che tutti i libri del mondo.” (Louis Pasteur) 
Qual è la bottiglia con dentro tutta la sua filosofia di vita? 
Quella che berrò domani, e poi quella del giorno successivo, e ancora e ancora, finché potrò bere vini che possiedano un’identità. Sono curioso della vita, e il vino è una metafora dell’esistenza.


“La gentilezza dovrebbe diventare il modo naturale della vita, non l’eccezione.” (Buddha) 
Garbo e gentilezza sono uno stile di vita che lei ha condiviso da sempre. Che ne pensa del giornalismo urlato (gridato), volgare e sfrontato? Per scrivere un articolo oggi bisogna realmente essere irriverenti o l’educazione, la cultura, la formazione bastano? 
Ritengo che si possano dire verità molto scomode anche quando si esprimono con un sussurro, e penso anzi che il sussurro possa lasciare un segno molto profondo, perché costringe all’attenzione. Invece la parola urlata è destinata a essere presto travolta da un grido più acuto. Faccio giornalismo, non sono interessato allo show.


“Un vincitore è un sognatore che non si è arreso”. (Nelson Mandela) 
Non arrendersi mai è un must della vita che ci permette di raggiungere i nostri obbiettivi. I suoi sogni si sono realizzati? 
Il mio sogno è quello di poter continuare a sognare, e questo sogno sinora l’ho realizzato. Sono uno strategist, un professionista che per attitudine e mestiere cerca di leggere il futuro come se fosse già qui che si realizza. Prima o poi mi acquieterò.


“Il mio progetto preferito? Il prossimo”. (Frank Lloyd Wright) 
Il suo prossimo progetto? 
Narrare il vino sotto una prospettiva diversa, per certi versi più azzardata, in una dimensione ancora più libera. Ci sto lavorando. È un libro di cui ho già scritto, in cinque anni, in una ventina di stesure, nessuna pubblicata, perché le prime diciannove non erano abbastanza convincenti. Chissà se la ventesima è quella buona.


Non tutti sanno che … 
Torno all’inizio, a quando mi chiamò Giorgio Gioco. Non tutti sanno che mi occupavo di storia della gastronomia, soprattutto dell’età medievale e rinascimentale. Quando mi chiamavano a tenere delle conferenze, si aspettavano una persona più anziana, certamente non un ventenne. Inoltre, non tutti sanno poi che ho lavorato nel mondo bancario e finanziario. Ho scritto le relazioni di bilancio di banche importanti. La mia lettura del vino come fatto economico deriva da lì. Però sono sempre stato attento a tenere rigorosamente separate le mie diverse occupazioni, perché nessuna condizionasse le altre. Oggi ho un’età che mi permette di svelarlo.










Wine Writers: Mario Crosta e il suo manifesto del vino


Chi sono i più famosi wine writers italiani? Le penne più intriganti, appassionate, raffinate, rivoluzionarie o irriverenti si raccontano in una serie di interviste che svelano curiosità e aneddoti di vita quotidiana. 

Mario Crosta annovera tra le sue esperienze: la rivista specializzata polacca Rynki Alkoholowe, alcuni portali come collegiumvini.pl, vinisfera.pl, winnica.golesz.pl, podkarpackiewinnice.pl. Inoltre enotime.it, winereport.com, acquabuona.it, lavinium.it, ditestaedigola.com e altri magazine di settore. 



“La vera vocazione di ognuno è una sola, quella di conoscere se stessi” scriveva Hermann Hesse 
Ci racconti chi è Mario Crosta? Cosa ti piace di te e cosa cambieresti. 
Sono l’erede di industriosi imprenditori meccanici. Mio nonno, di cui porto il nome e il cognome, mi mandava d’estate in fabbrica a lavorare per imparare a fare l’operaio, il disegnatore, il tecnico meccanico perché un bel giorno mi succedesse lo stabilimento di famiglia. Dal mondo imprenditoriale a quello comunista il passo è stato breve. A soli 17 anni ero impegnato attivamente negli scioperi a scuola, nei picchetti all’alba nelle fabbriche, nei comitati operai-studenti e nella rivoluzione socialista. Nel corso degli anni poi ho girato il mondo in diverse fabbriche e cantieri, dalla gavetta fino all’assicurazione e al controllo di qualità e infine alla direzione tecnica in campo. Adesso che ho 70 anni e sono in pensione pago con una serie di acciacchi l’entusiasmo che ci ho messo in una vita vissuta intensamente, ma rifarei tutto alla stessa maniera. Non cambierei nulla. Forse soltanto un po’ il caratteraccio che ho, ma dicono che sono un fico d’India, spinosissimo fuori e tutto zucchero dentro, quindi lo lascio com’è. 

“Quando soffia il vento del cambiamento, alcuni costruiscono dei ripari ed altri costruiscono dei mulini a vento” cita un proverbio cinese. 
Hai cambiato pelle più volte nella vita, ma sei riuscito a realizzare i tuoi sogni (di bambino)? 
Da bambino e anche adesso faccio tanti di sogni e tutti fantastici. Non ho mai avuto un particolare sogno da realizzare. La mia vita è accaduta così, senza sognare. Ma ogni cambiamento è stata una chance.

“Vinum Vita Est” - Nel vino è la vita sosteneva Petronio Arbitro 
Il vino è la tua vita o un modo per uscire dalla tua vita? 
Viaggiare, bere, scrivere di vino è sicuramente la mia vita. Vi racconto un episodio curioso. Nel lontano 1994 un’influenza senza febbre (con cui ho lavorato senza limiti né soste e assumendo troppe aspirine) procurò una cardiomiopatia dilatativa, motivo per cui mi iscrissero al registro dei trapianti urgenti di cuore anche se, allora, la mia coronarografia stupì medici e professori per la stato di integrità delle mie coronarie (grazie al buon vino mi disse il professore). Alla fine, dopo mesi di attesa per il trapianto, in cui ho continuato a bere poco ma bene, i medici avevano davanti ai loro occhi quello che chiamano il paradosso francese: bere poco e bene fortifica e così, al dunque, ho evitato quella complicata operazione. 

“I veri intenditori non bevono vino: degustano segreti” diceva Salvador Dalí 
Tu quali segreti hai da svelarci oggi? 
I miei segreti li racconto tutti nei miei articoli, descrivendo i luoghi, le persone, le cantine, le tenute, i vini e raccontando esattamente quello che vedo, che sento, che faccio. C’è chi lo fa per giudicare i vini o i produttori e questo mi fa infuriare. Io rispetto l’impegno di tutti i viticoltori che ogni giorno faticano in vigna e soffrono di preoccupazioni per le malattie delle piante, la siccità dei terreni, i debiti da pagare anche nelle annate avverse per poter assicurare di mettere in commercio la loro produzione. Non sottovaluto mai il lavoro del contadino, del vignaiolo, del bracciante, del trattorista, del cantiniere, di tutti quelli che quando gli altri sono in ferie o in festa, saltano le domeniche e vanno a lavorare anche quando sono malati, con pioggia e vento. E c’è chi si permette di giudicare il lavoro di queste famiglie che è il frutto di grandi sacrifici. 

Dire pane al pane e vino al vino” cita un famoso proverbio. 
Quanta verità c’è in quello che scrive Mario? 
Tutta quella di cui sono capace. Faccio molte ricerche, per esempio, per verificare se quello che mi raccontano o che mi fanno leggere corrisponde al vero e non è invece una invenzione del marketing o dei manager delle comunicazioni (per chi se li può permettere) Talvolta scopro delle mezze verità o addirittura delle infondatezze così gravi da interrompere i rapporti di comunicazione con i produttori stessi. La vera verità? C’è dell’omertà nel mondo mediatico del vino in cambio di privilegi, di bottiglie nel bagagliaio, di pranzi, di cene, di alloggi stellati e qualche volta anche di bustarelle. 

"Bevo per rendere gli altri interessanti" dichiarava il critico G.J. Nathan 
Siamo dunque circondati dalla noia? 
Nel mondo del vino: no. Ma quale noia? Soltanto in Italia, secondo il censimento agricolo dell’Istat del 2020, ci sono 255.000 aziende del vino (erano 791.000 nel 2000). Le cosiddette guide specializzate nell’assegnare riconoscimenti ogni anno ne elencano soltanto poche centinaia ma ce ne sono migliaia che non vengono citate. Non c’è da annoiarsi. Ogni azienda è un piccolo universo, un laboratorio di idee, di sperimentazioni, di successi e insuccessi al punto tale che chi le visita e cammina le vigne insieme con chi cura le piante di vite e fa il vino non si annoia affatto. Certo è che se si frequentano soltanto i salotti delle aziende più grandi, più note, più osannate e più sotto le luci della ribalta ci si merita la noia di quel piccolo mondo ristretto a pochi elementi che sono sempre gli stessi (per un buon 90%) che se la suonano e se la cantano fra loro. 

“Io scrivo bene di te e tu scrivi bene di me”. Non ci crederete, ma nelle recensioni alla fine funziona così” afferma F. Caramagna 
Pensi che per quel che riguarda il mondo del vino ci sia perbenismo e falsità?
A mio parere ci sono due mondi del vino. Nel mio mondo del vino c’è la stragrande maggioranza di produttori. Nell’altro c’è quella piccola percentuale dei podiati, trebicchierati, pentastellati di cui parla e scrive una ristretta cerchia di giornalisti, pubblicisti e blogger e in questo mondo degli intoccabili non so se c’è perbenismo e falsità. L’omertà sì. Perciò dopo un primo entusiasmo a partire dal 1980 fino al MiWine di Milano del 2004 non l’ho più voluto frequentare. Proprio al MiWine l’amico Angelo Gaja mi fece entrare, con il mio collega di Collegium Vini di Cracovia, alla presentazione dei vini dei dieci maggiori brand italiani (mentre una folla di giornalisti restava fuori nonostante gli accrediti), ma quando ho visto le telecamere della RAI intervistare personaggi che ne approfittavano per pavoneggiare la propria presenza all’evento me ne sono andato prima della fine della serata lasciando il posto vuoto in seconda fila. È stato l’ultimo evento a cui ho partecipato e negli anni a venire ho sempre delegato altri. Invece nel mio mondo del vino, quello che ritengo il più vero, ci sguazzo come un pesce nel mare. È entusiasmante, sperimentale, nuovo e posso assicurare che sono rari i produttori falsi e in genere sono proprio quelli che sgomitano per accedere al più presto nell’altro mondo. 

“Grande è la fortuna di colui che possiede una buona bottiglia, un buon libro, un buon amico” sosteneva Molière 
Mario è un uomo fortunato? 
Sì, sono molto fortunato. Ho amici, libri e vino. 
Vino: ne ho e ne ho avuto. Ricordo che avevo sei bottiglie di Sassicaia del 1978. Uno dei più famosi enotecari d’Italia a Milano mi offrì una fortuna per comprarle, poiché il marchese Incisa della Rocchetta e Piero Antinori non ne assegnavano più di 6 per ciascun indirizzo commerciale. Allora erano 2 mesi del mio stipendio da operaio. Non le ho mai vendute e le ho bevute una per volta nel corso di 25 anni. Amici: un buon amico ce l’hanno tutti e si chiama angelo custode. Non si vede, ma c’è. Ne avverto la presenza, quindi sono fortunato. Libri: ho un buon libro, una lettura diversa al giorno per ogni giorno dell’anno. E’ reperibile ovunque anche sul web. È il Vangelo che si usa per le sante Messe quotidiane, un compendio dei quattro vangeli più antichi, trasmessi per via orale per una settantina d’anni, poi trascritti in greco dai quattro apostoli. Ne sono stati scritti anche altri, diffusi nei primi secoli di vita della comunità cristiana, ma sono andati persi o sono stati secretati negli archivi segreti del Vaticano.

“Una bottiglia di vino contiene più filosofia che tutti i libri del mondo” dichiarava il chimico Louis Pasteur 
Qual è la bottiglia con dentro tutta la tua filosofia di vita? 
La bottiglia di Spanna dei Cinque Castelli del 1947 di Antonio Vallana & Figlio (Bernardo) che ho trovato a 16 anni liberando dal fango la cucina dell’appartamento di una simpatica vecchietta dopo l’alluvione di Vallemosso nel 1968. L’abbiamo pulita e stappata la sera in quattro con un po’ di formaggio e di salame e abbiamo cantato per tutta la notte. 

“L’età è solo un numero. È del tutto irrilevante a meno che, naturalmente, non vi capiti di essere una bottiglia di vino” recitava Joan Collins 
Il tempo scorre inesorabile. Cosa vedi nel tuo futuro? 
La Sardegna. Mi ha fatto da madre nel periodo più duro della mia vita, quando cercavo una ragione per vivere e me l’ha offerta a braccia aperte. Ricordo che un amico un giorno mi disse “Se mi dici un motivo per cui la tua vita è finita io te ne trovo diecimila per dirti che invece è appena cominciata”.

Non tutti sanno che…
Che sono già nonno!


                                          








Colline Teramane, viaggio alla scoperta dell'Abruzzo contemporaneo



La collina è coperta di vigne
e tutto ha un tempo giusto per maturare.
I passi sopra le zolle attraversano felici
l’autunno. (F. C.)


Slow Wine Travel 

Viaggiando verso nord, poche centinaia di chilometri separano la mia Puglia da una delle regioni italiane più vocate alla coltivazione della vite. Territorio unico, ricco di parchi e riserve naturali, borghi incantevoli, paesaggi mozzafiato e meta per ogni tipo di vacanze in ogni stagione dell’anno. Monti, valli, laghi, fiumi, colline e mare blu. Questa meraviglia nazionale (e non esagero credetemi) è l’Abruzzo. Terra di storie, tradizioni, identità e culture dove quella più singolare è dedicata al lavoro in vigna e alla coltivazione di eccellenze enogastronomiche. 
Vino, olio, zafferano, grano, aglio, formaggi, confetti, vin cotto solo alcune delle note produzioni regionali. 
Tra il montano Gran Sasso (forti escursioni termiche giorno notte) e il mediterraneo mare Adriatico (venti e iodio) si disegnano ordinate le colline abruzzesi: microclima ideale per la produzione di uve di alta qualità. L’attitudine alla vigna risale all’età del ferro, in seguito gli etruschi maritavano la vite agli alberi e i romani trovarono in questi luoghi il gran cru per il loro vino Petrunian. Oggi l’uva non è più sovraprodotta (per i tagli) e ci sono angoli di Abruzzo che richiedono attenzione per il riconoscimento più forte di un vino sempre più identitario che parla di territorio e di chi lo abita, che ha saputo costruire nei secoli tradizioni e culture uniche. 





Scrivo Abruzzo dico Montepulciano 

Oltre l’80% dei vini a denominazione prodotti in Abruzzo è da uve Montepulciano. Il legame con la regione è così indiscusso da perdersi nel tempo. Dalle zone montuose più interne, passando per le colline e arrivando al mare, disegna il paesaggio della campagna abruzzese in vigneti curati e ordinati. Il Montepulciano di Abruzzo assume carattere e personalità diverse a seconda delle zone di produzione ma sempre unite da un comune denominatore: piacevolezza, struttura, vigorosità, calore e sempre più spesso eleganza. Non teme il confronto con altri vitigni più nobili assumendo una propria identità territoriale nelle Colline Teramane dove trova un microclima adatto fregiandosi con merito della denominazione: Montepulciano d’Abruzzo Docg Colline Teramane
Il territorio delle hills con le sue quattro vallate (Vibrata- Salinello- Tordino- Vomano) si trova a nord della regione. I suoi confini geografici sono le Marche, il Gran Sasso, i Monti della Laga e il mare Adriatico. Le colline corrono a mano a mano verso il mare foggiando un paesaggio da fiaba e creando il microclima ideale per l’allevamento del Montepulciano: l’anima rossa della regione. 
Quelle più interne hanno per lo più suoli calcareo- argillosi e quelle verso il mare sabbiosi -argillosi, il sistema di allevamento tradizionale è la pergola abruzzese e il suolo, le brezze marine e montane, le escursioni termiche regalano al vino prodotto piacevolezza, eleganza, aromaticità e struttura. 

 




 Le denominazioni dell’Abruzzo Docg: Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane, Terre Tollesi o Tullum Doc: Abruzzo, Cerasuolo d’Abruzzo, Montepulciano d’Abruzzo, Trebbiano d’Abruzzo, Controguerra, Ortona, Villamagna, Montepulciano d’Abruzzo sottozone: Alto Tirino, Casauria, Teate, Terre dei Peligni, Terre dei Vestini 





 L'Abruzzo contemporaneo e l'azienda Cerulli-Spinozzi 

La cantina che ci ospita nasce nel 2003 per volontà dei fratelli Vincenzo e Francesco Cerulli Irelli. La tenuta invece è stata realizzata i primi del ‘900 con l’unione dei fondi agricoli della famiglia Cerulli e quella degli Spinozzi. Oggi la guida Enrico, figlio di Vincenzo e attuale presidente del Consorzio “Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane”. La vera ricetta per il suo successo è la semplicità, i gesti fatti a memoria, che si perdono nei secoli, tramandati dai padri dei padri, l’amore per la tenuta storica e i valori saldi della tradizione ma con lo sguardo sempre rivolto al futuro. Essere il Presidente del Consorzio per Enrico implica lavoro, impegno e responsabilità ma ha anche il vantaggio di proporre idee nuove, di essere portavoce di un patrimonio unico e di suggerire strategie per la valorizzazione ancora più mirata per un super territorio come quello delle Colline Teramane. 

 “Ed è per questo motivo che non si può prescindere dal Consorzio che è uno strumento di tutela decisivo per il potenziamento, il miglioramento e la divulgazione del vino prodotto in questa singolare parte della regione delle aziende associate. Il nostro Consorzio è pieno di vitalità ed energia già da 20 anni. Molti sono i progetti già in corso tra cui l’anteprima colline teramane, promozione turistica del territorio e altre interessanti iniziative. Ciò che distingue il nostro consorzio è l’attitudine a lavorare insieme e il senso di comunità che abbiamo costruito negli anni. Questa legame identitario così forte, anche per ragioni storiche del territorio, è un valore unico da preservare anche per le generazioni future. Non mancano le nuove idee e proposte anche a livello regionale, come la valutazione della creazione di un Abruzzo intero tutelato da un unico: “Consorzio Vini d’Abruzzo” che racchiuda al suo interno tutte le denominazioni abruzzesi, così da creare un organismo ancora più forte e decisionale che superi problemi tecnici e burocratici che riguardano la promozione del vino stesso (come l’accesso ai benefici che riguardano ora solo alcuni vini tutelati)” così ci racconta Enrico nel corso della visita nella sua cantina. 

L’Abruzzo contemporaneo (tema del nostro viaggio) traduce, in eleganza finezza e aromaticità e fragranza, il Montepulciano d’Abruzzo. Un vino che negli ultimi decenni era più concentrato, meno verticale e, in alcuni casi, con una marcata presenza di legno. Sempre più identitario e riconoscibile, questo vino è figlio del suo tempo infatti anche il clima attuale permette una più accurata maturazione delle uve senza perdere il corredo aromatico di cui beneficiano per le escursioni termiche (siamo a ridosso del più alto Appennino) e la vicina influenza del mare. 

 



 Wine Tasting 

Colli Aprutini Pecorino Igt 2020 - Cortalto vol. 13.50 %
Annata calda, qualità delle uve ottima. 
Giallo paglierino pennellato di oro, fiori gialli, agrumi e accenno di frutta tropicale. Sorso dinamico, fresco e spolverato di sale. 

Colli Aprutini Pecorino Igt 2019 - Cortalto vol. 13.50 %
Si discute sulla somiglianza del Pecorino al Riesling 
Calice luminoso. All’olfatto roccia marina salmastra, cedro e frutta a polpa bianca. Sorso agrumato e sapido. La nota iodata e la morbidezza traducono in piacevolezza il finale di questa annata. 

Colli Aprutini Pecorino Igt 2018 - Cortalto vol. 13.50 %
Equilibrio didattico e andamento stagionale in piena regola 
Giallo dorato luminoso. Ampio ed esplosivo, cesto di agrumi maturi e frutta tropicale. Sorso fresco, iodato con ritorno agrumato e sapido in equilibrio perfetto. Inebriante. 

Colli Aprutini Pecorino Igt 2015 - Cortalto vol. 13.50 %
Vendemmia a settembre inoltrato e l’evoluzione 
Giallo dorato luminoso. Frutta a polpa gialla disidratata, idrocarburi leggeri, spezie. Profilo gustativo elegante. Struttura, corpo e pienezza allungano la chiusura in un finale intrigante. 


Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane Docg 2017 - Torre Migliori - vol. 14.50 % 
Calice rubino pennellato di viola. Frutta fresca, rosa rossa delicata, vaniglia e spezie dolci. Tannino educato, morbido il ritorno di frutta rossa. Chiusura lunga ed elegante su ricordi di macchia mediterranea. 

Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane Docg 2008 - Torre Migliori - vol. 14.00 % 
Rubino intenso e riflessi granati. Frutta rossa in confettura, fiori secchi, vaniglia spezie dolci, cioccolato. Sorso dinamico e sinuoso come le colline d’origine. Allungato e voluminoso su rimandi di frutta dolce. Avvolgente. 

Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane Docg 2004 - Torre Migliori - vol. 13.00 %
Il calice si colora dell’autunno teramano. Gli aromi rimandano ad un terziario elegante e raffinato nonché austero. Nulla da invidiare ai blasonati vini da invecchiamento. Senza perdere l’unicità del vitigno sfoggia sfumature di goudron, cuoio, spezie. Sorso composto, tannino avvolgente. Chiude con stile raccontando il territorio. 



Le strade sinuose e dolci delle Colline Teramane svelano disegni e realtà locali di incredibile incanto e avventura, come il progetto Iuaria della cantina Villa Colle e quello di Podere Francesco con l’esclusivo frutteto. Giovani imprenditori che scelgono di investire il loro futuro nel luogo dove sono nati e che affidano alla terra d’Abruzzo la loro vita e il loro lavoro. 





Cantina Villa Colle 

La cantina, a conduzione famigliare, produce vini con il collarino della certificazione: Parco Nazionale Del Gran Sasso. Siamo a Torricella Sicura in provincia di Teramo ai piedi dell'Appennino. Il loro vino più singolare è il Iuaria da uve Magliocco allevate a 800 metri sml.
Si narra che questo vitigno fu coltivato nel 1011 dalle suore del monastero benedettino di San Giovanni a Scorzoni e serviva per le celebrazioni eucaristiche. In seguito la storia si perde in serpentine vicende ecclesiastiche ma l'enologo aziendale Mauro Scarpone decide di riportare in “gloria” questo antico vitigno abruzzese per farne un vino che racconta la storia del territorio, del recupero, della salvaguardia di un patrimonio storico che diventa, attraverso il vino, un bene di tutti. 
Lo Iuaria è un vino da tavola: rosso rubino, vinoso, profumato di rosa e frutta fresca. Gli aromi sono quelli di montagna al sorso ritorna frutta e tannino leggero. La produzione dei bianchi e rosati è sorprendentemente profumata di montagna e bosco. La freschezza non manca. Una chicca enologica di poche bottiglie tutte numerate che mette curiosità e brio. 
Altri vitigni antichi coltivati e imbottigliati sono: Montonico, Cacciuno, Santo Marino, Frappato, Malvasia Rossa, Rosciola 




Non solo vino. Podere Francesco, ispirati dalla natura 

Siamo sulle colline di Mosciano Sant’Angelo in Abruzzo. 50 ettari di frutteti e 13 di orto Il fondo, sito su un declivio che evita naturalmente i ristagni d’acqua, è favorito da un clima ideale e dall’influenza del mare. Impianto a goccia per l’irrigazione, un laboratorio di cottura sottovuoto per tutta la produzione e tanti progetti per il futuro. Bruno, Clemente, Simone e Manuel si occupano della gestione aziendale con una passione che dura da generazioni. 
La cura della pianta in ogni fase di lavorazione è fondamentale come l’attesa per la giusta maturazione per raggiungere il risultato di un prodotto esclusivo e territoriale. Rispetto della natura, stagionalità e raccolta selezionata di frutta e verdura di alta qualità è il loro must. 
I prodotti del podere vanno dalla passata di pomodoro (3 varietà) alla frutta e verdura fresche, ai succhi, confetture e conserve (giardiniera). Non mancano ricerca, analisi e collaborazioni con bartender e chef stellati per preparazioni come l’acqua di pomodoro, aceto di mele o l’uso delle susine locali al posto dell’esotico lime nei cocktail. 


 Il racconto delle colline prosegue verso Torano Nuovo e Giulianova

 Azienda Vitivinicola Strappelli 

Siamo a Torano Nuovo: Capitale del Montepulciano d'Abruzzo 
Guido Strappelli lavora qui, in località Villa Torri di Torano Nuovo (Teramo) nei suoi 12 ettari di campo (medio impasto- breccia) allevati a Montepulciano e Trebbiano d’Abruzzo, Pecorino, Passerina e Malvasia nostrana. Tracciamento della filiera, salvaguardia ambientale, sostenibilità, alta qualità di produzione sono i requisiti indispensabili di questa azienda del vino. 
Le sue linee sono : Strappelli, Torre Trà, Spumanti 





Faraone vini, ogni viaggio ti riporta sempre a casa 

L’azienda produce uva e dagli anni 30 e imbottiglia dal 1970. I viaggi e gli spostamenti in giro per il mondo e ritorno a casa sono stati una costante di questa famiglia del vino. Oggi l’azienda è condotta dai due fratelli Faraone, Federico (stabilmente in Abruzzo) e Alfonso. In sette ettari di vigna, in località Giulianova, sono allevati il Montepulciano, Passerina, Pecorino, Falanghina e Sangiovese. 
Immancabile la produzione di olio extravergine di oliva (Olio Dop Pretuziano delle Colline teramane) da cultivar di Leccino, Dritta, Maurino, Pendolino, Tortiglione 

 



Il viaggio tra le colline di Teramo mi rimanda all’armonia sonora di Ludovico Einaudi nel suo brano Divenire. Le sue note sinuose e morbide sono come le strade teramane e divenire per questo angolo di mondo significa reinventarsi e trasformarsi in un moto senza fine che apre la mente degli uomini che le abitano a nuove strategie e soluzioni per arricchire e migliorare un territorio unico e autentico.





Vino e Innovazione Tecnologica

La tecnologia non tiene lontano l'uomo dai grandi problemi della natura, ma lo costringe a studiarli più approfonditamente. (A. de Saint...